A un mese dalla conclusione dei lavori della Convention on International Trade in Endangered Species (Cites), che comprende 171 Paesi e controlla il commercio delle specie in via di estinzione, la legalizzazione della vendita del prezioso materiale tiene ancora banco.
Da una parte si schierano i Paesi che ci vedono un potenziale economico per le comunità locali, dall'altra quelli che temono un massacro degli animali simbolo dell'Africa.
Intanto, mentre proseguono le discussioni, il contrabbando di avorio prosegue, fruttando alle organizzazioni criminali almeno nove miliardi di euro l'anno.
Avorio
Bandito nel 1989, il commercio di avorio fa gola: sul mercato mondiale, un chilogrammo può arrivare a valere 600 euro. “Solitamente i cacciatori sono contadini poveri – rivela a PeaceReporter l'antropologo Daniel Stiles – ma chi dà loro le armi sono grandi uomini d'affari e politici che lucrano sui traffici”. Una pratica diffusa soprattutto in Camerun, Repubblica Centrafricana, Tanzania e Zimbabwe, anche perché le pene per i bracconieri vanno da multe irrisorie a qualche mese di carcere.
Troppo poco per scoraggiare una popolazione la cui maggioranza vive con meno di un euro al giorno.
Il contrabbando di avorio è aumentato in maniera preoccupante dal 2000 ad oggi, in coincidenza con l'entrata in scena delle organizzazioni criminali asiatiche, che importano l'avorio grezzo dall'Africa per lavorarlo in Cina. Gli effetti sulla natura sono devastanti: secondo le cifre dell'organizzazione Traffic, nel solo Congo la popolazione di rinoceronti si è ridotta del 60 percento negli anni 2003-5, mentre tra il 1970 e il 1992 quella dei rinoceronti neri arrivò vicinissima all'estinzione, crollando del 98 percento. Tutti gli addetti ai lavori riconoscono alla Cites il merito di aver salvato la situazione nel 1989.
Ma la concessione di una vendita una tantum di 60 tonnellate di avorio dall'Africa al Giappone, approvata alla conferenza di quest'anno, non è stata digerita da molti ambientalisti.
Contrasti
La vicenda ha fatto emergere le posizioni contrastanti dei Paesi africani: da una parte si schierano il Sudafrica, il Botswana e la Namibia, che premono per la regolarizzazione del commercio, utilizzando l'avorio prelevato dagli animali morti e legalizzando una caccia controllata. “Ci sono centinaia di chili di avorio inutilizzati nei depositi – conferma Stiles – se si usassero quelli si risolverebbe il problema senza dover uccidere alcun animale”. Dall'altra parte, Kenya e Mali chiedono una moratoria di vent'anni al commercio di avorio. “Non vogliamo dare il falso segnale che esiste un mercato dell'avorio – ci fa sapere Paul Udoto, esponente del Kenya Wildlife Service – perché sul lungo periodo porterebbe solo all'uccisione di più animali”. Durante i lavori della conferenza, il Kenya si era offerto di “acquistare” dagli altri stati i rinoceronti in eccesso.
Una proposta che non è però stata accettata.
Sviluppo
All'origine delle divergenze vi è il dubbio che il commercio legale di avorio possa favorire le comunità locali.
“Il problema è che l'avorio non può essere considerato una fonte di entrata come i normali prodotti agricoli o industriali – sottolinea a PeaceReporter Remi Chandran, ricercatore ambientale alla United Nations University – perché viste le piccole quantità commerciabili, non potrà soddisfare le esigenze delle moltitudini di poveri ”.
Un'altra incognita è la mancanza di mezzi adeguati per controllare il commercio: secondo un recente rapporto dell'International Fund for Animal Welfare, su 2.275 oggetti d'avorio venduti su internet in sette differenti Paesi, il 94 percento mancava di qualsiasi certificazione di origine. Per questo il commercio si sta sempre più spostando sul web, tanto che il sito di aste online eBay ha deciso di bandire dal proprio portale qualsiasi vendita internazionale di oggetti d'avorio.
Nel traffico via terra, la situazione non è migliore: l'Interpol si basa sui dati forniti dai singoli Paesi, spesso poco affidabili. Per questo non ci sono cifre certe sui profitti del contrabbando. “Tutto quello che si sa è che è in crescita – continua Stiles – e che va principalmente dai Paesi asiatici verso Stati Uniti ed Europa, dove i manufatti d'avorio di stile orientale sono molto richiesti”. “Se Paesi come quelli europei e gli Usa non riescono a controllare efficacemente il traffico – sottolinea Udoto – come possiamo pretendere che lo facciano lo Zimbabwe o la Repubblica Centrafricana?”
Dall'altra parte, il bando al commercio di avorio favorisce la crescita della corruzione: a inizio anno, un carico di avorio sequestrato nelle Filippine “scomparve” all'insaputa delle autorità doganali. La legalizzazione potrebbe risolvere il problema se, secondo Chandran, “verrà fatto in modo che i soldi arrivino alla popolazione. Parlo di leggi che impediscano l'esportazione del materiale grezzo e favoriscano la nascita in patria di una piccola industria dell'avorio”.
Carne
Negli ultimi anni, elefanti e rinoceronti sono diventati vittime di un nuovo e più pericoloso commercio. Specie in Repubblica Centrafricana, i piccoli elefanti della foresta vengono cacciati da bracconieri e Pigmei per la carne (molto ricercata dalle élite africane), che frutta considerevoli guadagni. “Un elefante può valere fino a 4.500 euro per la carne (contro i 135 per le zanne, ndr) – rivela Stiles –. La caccia sta diventando molto popolare, anche perché nei Paesi poveri la gente non si può permettere capi di allevamento”. Una volta ucciso, l'elefante viene tagliato e affumicato, in modo che la carne si conservi fino al viaggio nelle città, dove il prezzo cresce vertiginosamente. Anche in questo caso, non ci sono cifre che permettano di apprezzare appieno il fenomeno, perché gli elefanti della foresta vivono in piccoli gruppi sparsi in un'area che va dalla Guinea all'Uganda. Gli ultimi dati, che li davano a 172.000 esemplari nel bacino del fiume Congo, sono del 1989.
Se si stanno estinguendo in silenzio, nessuno lo sa.