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Andria, esce dal coma grazie al suo cane

Ultimo Aggiornamento: 27/10/2008 14:37
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23/10/2008 09:39
 
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Andria, esce dal coma grazie al suo cane

ANDRIA - «Cosa è Ugo per Ninì? È molto più del suo migliore amico. Ugo è la sua gioia, la sua anima, la sua voglia di tornare a vivere». Alla signora Nunzia Torelli le brillano gli occhi quando parla di Orlando-Ugo e di come questo splendido esemplare di golden retriever di quasi due anni sta cercando ciò che la medicina non è riuscita a fare: svegliare il figlio Emanuele (Ninì come lo chiamano in famiglia ha 30 anni) da uno stato vegetativo permanente (coma vigile) che da sette anni (dopo un maledetto incidente stradale) lo intrappola e lo rende invalido al cento per cento: non cammina, deve essere imbocccato, messo a letto e portato in bagno. Insomma, ogni giorno, 24 ore su 24, Ninì viene accudito in tutte le sue funzioni. Un’assistenza a basso contenuto tecnologico ma ad alto contenuto umano.

Ed Ugo, in questo difficilissimo compito si sta dimostrando davvero un cane unico, insostituibile. «È un animale eccezionale. Non so come avremmo fatto senza. Quando abbaia, corre e fa festa, Ninì reagisce e gira lo sguardo. Compie piccoli gesti, quasi impercettibili ma per noi significano molto. Significano che nostro figlio vuole tornare a vivere».

L’INCIDENTE.
Orlando-Ugo, è bene ricordare, non è un cane qualunque. Ugo, infatti, è uno dei cani di assistenza dell’Accademia cani guida «Mario Salzano onlus» di Roma ed ha un lavoro ben preciso: stare 24 ore su 24 con il suo amico-paziente Emanuele, in coma dal novembre 2001 dopo un drammatico incidente stradale avvenuto a San Severo. Emanuele era nell'Aeronautica militare, specializzato in una squadra antincendio che assiste i piloti nel corso delle fasi di atterraggio e di decollo. Il 16 novembre del 2001, mentre tornava da un corso di aggiornamento a Loreto, il giovane fu vittima di un incidente stradale lungo la A14 a pochi chilometri da Foggia. La sua autovettura si scontrò con un camion. Fu una tragedia. Ninì entrò subito in coma e dopo essere stato ricoverato presso gli Ospedali riuniti di Foggia, fu trasferito in Austria dove si stabilizzò. Ma da allora per Emanuele e la sua famiglia è iniziato un lungo penosissimo calvario, in un alternarsi di sofferenze, rese e ribellioni, diagnosi infauste o possibiliste, disperazioni e flebili speranze. Finchè, in casa Torelli, non è entrato per la prima volta Ugo, il cane-infermiere come è ormai noto.

«Grazie ad Ugo, il nostro Ninì è ritornato a reagire. I suoi occhi, fissi, gelidi ed immobili per tanto tempo, sono tornati a muoversi. Emanuele, già quando la mattina si sveglia, con lo sguardo cerca il suo cane ed Ugo cerca il suo Ninì. Gli salta addosso, lo lecca, scondinzola ed abbaia di gioia». Le coccole di Ugo, dicono i medici, hanno ricadute talmente benefiche sull’umore, sulla capacità relazionale e anche sul sistema immunitario e sulla volontà di ripresa dello sfortunato giovane andriese che, alle sollecitazioni del cane, riesce anche a reagire: Ugo gli morde la mano e lui la ritira, gli ruba la copertina poggiata sulle gambe e lui la trattiene. Orlando, insomma, sembra essere entrato in simbiosi con il suo paziente, riuscendo a carpirne i dolori e le sofferenze.

«Quando Giuseppe (l’altro figlio della signora Torelli, ndr) lo porta a spasso, Ninì ne avverte la mancanza. Il suo sguardo vaga, lo cerca nella stanza. Per una persona che è rimasta immobile per tanti anni, credetemi, queste sono conquiste enormi».

Tra qualche giorno Emanuele e la sua famiglia si trasferiranno a Valens in Svizzera, in un centro specializzato per la riabilitazione per pazienti in coma. Ogni ciclo di terapia dura due mesi e l’intero nucleo familiare, pur tra mille sacrifici, trasloca per stare accanto al loro Ninì. «Questa volta Ugo non sarà con noi - dice Nunzia con grande rammarico -. Ritornerà in Accademia a Roma dai suoi istruttori per un "ripasso" del suo addestramento. Non riesco ad immaginare come staremo quei mesi senza la sua presenza. Spero che Ninì non ne soffra».

Ninì, prima di quel maledetto incidente, aveva tantissimi amici, che già da tempo non si sono più fatti vedere, non hanno più chiesto sue notizie. Molti, forse, non sanno neppure se è ancora al mondo. «Questo mi ha portato a vivere, all’inizio, con tanta rabbia dentro, perché oltre al dolore per mio figlio, c’era anche la consapevolezza che, nel bisogno, nessuno ti dà una mano».


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27/10/2008 14:37
 
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Nessuno, tranne un cane.

Mi dispiace che i due vengano separati... soprattutto ora che si è capito bene che Emanuele ci tiene moltissimo... spero che sia una cosa momentanea... gli faccio un grandissimo in c alla balena... gli animali fanno proprio miracoli...



Spuntarono le prime stelle. Non sapeva che si chiamava Rigel, ma la vide. E sapeva che presto sarebbero spuntate tutte e che ci sarebbero stati tutti i suoi amici lontani. "Anche il pesce è mio amico"disse ad alta voce. "Non ho mai visto e mai sentito parlare di un pesce simile. Ma devo ucciderlo. Sono contento che non dobbiamo cercare di uccidere le stelle". Pensa se ogni giorno un uomo dovesse cercare di uccidere la luna, pensò. La luna scappa. Ma pensa se ogni giorno uno dovesse cercare di uccidere il sole...siamo nati fortunati, pensò. Poi gli dispiacque che il grosso pesce non avesse nulla da mangiare e il dispiacere non indebolì mai la decisione di ucciderlo. A quanta gente farà da cibo, pensò. Ma sono degni di mangiarlo? No, no di certo. Non c'è nessuno degno di mangiarlo, con questo suo nobile contegno e questa sua grande dignità.
Non capisco queste cose, pensò. Ma è una fortuna che non dobbiamo cercare di uccidere il sole o la luna o le stelle.

Basta già vivere sul mare e uccidere i nostri veri fratelli.
E. Hemingway, "Il vecchio e il mare"



Quando brillava il vespero vermiglio,
e il cipresso parea oro, oro fino,
la madre disse al piccoletto figlio:
"Così fatto è lassù tutto un giardino".
Il bimbo dorme e sogna i rami d'oro,
gli alberi d'oro, le foreste d'oro,
mentre il cipresso nella notte nera
scagliasi al vento, piange alla bufera
Giovanni Pascoli



Da bambino volevo guarire i ciliegi
quando, rossi di frutti, li credevo feriti
la salute per me li aveva lasciati
coi fiori di neve che avevan perduti...
e un sogno fu un sogno ma non durò poco
per questo giurai che avrei fatto il dottore
e non per un Dio ma nemmeno per gioco,
perchè i ciliegi tornassero in fiore,
perchè i ciliegi tornassero in fiore
F. de Andrè

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