Un racconto (che potrebbe essere vero) contro l'abbandono dei cani

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ciuteina
00venerdì 10 luglio 2009 19:18
Il viaggio di Tonto

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Se lo avevano chiamato così si diceva sovente Tonto, un motivo doveva pur esserci. Sapeva di non essere intelligente, tantomeno bello. Un quasi lupacchiotto dalle origini indefinite, un muso qualunque, una strana coda attorcigliata che era il suo grande cruccio, perché ne ridevano tutti. In realtà quello era il suo unico dispiacere, perché per il resto la vita lo aveva trattato bene, facendogli trovare presto una famiglia ove viveva tranquillo e nel quale il fatto che Tonto non fosse intelligente non pareva avere un gran peso.

Tonto si era così avviato verso una serena terza età, senza darsi troppo pensiero di non più correre come una volta e per quel velo fastidioso davanti agli occhi, e senza porsi troppo problemi da cane poco intelligente qual era. Conosceva ovviamente tutte le abitudini dei padroni, dei ragazzi e della casa, intuendo con giorni di anticipo i fatti che segnavano la vita della famiglia: le feste, la gita domenicale, la partenza per le vacanze.
A dire il vero, da qualche anno Tonto non partiva più in vacanza con loro. I padroni avevano venduto la casa in campagna dove erano soliti recarsi ogni estate, e avevano preso a girare per l’Italia, e così Tonto passava l’estate in una pensione per cani. La cosa lo faceva soffrire un poco, ma Tonto aveva capito di essere d’impiccio e aspettava tranquillo che l’estate passasse e che il padrone venisse a riprenderlo, ciò che avveniva puntualmente ogni fine agosto.

Tuttavia, se fosse stato più intelligente di quello che era, Tonto avrebbe potuto accorgersi che ultimamente in famiglia era cambiato nei suoi confronti. I ragazzi, che da bambini lo avevano quale insostituibile compagno di giochi, non lo guardavano più tanto, e sovente litigavano per chi dovesse portarlo fuori. I padroni più di una volta apparivano infastitidi della sua lentezza e dal fatto che non vedeva più bene, cosicché farlo uscire richiedeva sempre più tempo e pazienza. Si, Tonto avrebbe potuto accorgersi che una certa tensione era cresciuta in casa attorno a lui, ma era fatto a modo suo e viveva tranquillo come sempre.

Ed ora che la stagione della vacanza era nuovamente arrivata, si apprestava a starsene in canile, a malincuore, per qualche settimana. Ciò nonostante i preparativi gli piacevano. E così anche quest’anno Tonto seguiva, peraltro più immaginando che vedendo, le varie fasi che precedevano la partenza: i tappeti arrotolati, i teli sulle poltrone del salotto, le valigie in ogni dove. Nel trambusto dei preparativi Tonto aveva notato, questo si, che a lui parlavano sempre meno, quasi lo sfuggissero. Ma era comprensibile, con tutto quel da fare, e così Tonto cercava di dare il minore fastidio possibile.

Ancor minor fastidio cercò di dare il giorno che precedette la partenza, perché in qualche modo aveva capito, più che altro da sguardi e toni di voce, di essere la causa del malessere che regnava in famiglia. Non sapeva cosa potesse aver fatto di male, in ogni modo si sentiva per la prima volta in tanti anni, e senza capirne il perché, estromesso dalla vita di casa.

Fu pertanto molto stupito quando, il mattino della partenza, lo fecero salire in auto con tutti loro. Di solito solo il padrone lo portava in canile, non era mai successo che andassero tutti assieme. Comunque Tonto era tanto felice di starsene sul divano posteriore, accanto ai ragazzi, come ai vecchi tempi, e non voleva porsi domande. Si sentiva nuovamente parte della famiglia e tanto gli bastava. Il suo benessere si tramutò in felicità quando si rese conto che ormai il tempo di percorrenza dall’abitazione al canile era stato largamente superato, e che ora stavano davvero andando verso le vacanze. In auto nessuno parlava e l’atmosfera era strana. Ma Tonto era talmente felice da non saper pensare che ad una cosa sola: lo stavano portando con loro.

Si era così abbandonato a quella sensazione di dolce sicurezza e protezione che sempre provava quando era in auto con i suoi padroni, ed aveva sonnecchiato un poco al regolare ronzio del motore, il cuore pieno di gratitudine verso tutti.
Quando più tardi l’auto si era fermata ad un Autogrill, Tonto non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato, ma erano certamente ormai molto lontani da casa. Tonto come sempre era saltato giù per primo, trotterellando qua e la senza allontanarsi troppo perché non vedeva molto bene. C’erano tante auto e tante persone e faceva molto caldo. Un gruppo di ragazzi gli si fece incontro ed uno di loro gli si chinò accanto per accarezzarlo. Tonto era al colmo della felicità e si gustava ogni istante di quella meravigliosa ed inaspettata giornata.

Quando il gruppo di ragazzi si fu allontanato Tonto si avviò verso l’auto dei padroni. L’auto non era dove ricordava, e così pensò di aver sbagliato. Tornò indietro alcuni metri, poi dieci, venti metri. L’auto non c’era. Risalì allora la fila delle auto posteggiate, ma non trovò la sua. Tornò nuovamente indietro, poi avanti ancora, fiutando ogni auto ed ogni persona, sentendosi sempre più agitato. Ma dei suoi padroni nessuna traccia. Tonto era certo di aver sbagliato, non avrebbe dovuto allontanarsi dall’auto. C’era molta confusione attorno ed il padrone, che certamente lo stava cercando, avrebbe faticato parecchio a trovarlo. Una volta di più, si disse Tonto, aveva dimostrato di essere poco intelligente. Decise allora di fermarsi in un punto e di non muoversi più, sarebbe così stato più agevole per il padrone ritrovarlo. Le auto arrivavano e ripartivano in continuazione e Tonto sussultava ad ogni tonfo di portiera. Tonto pensava anche che il padrone l’avrebbe sgridato, e sarebbe stato giusto, con tutto quel tempo perso per colpa sua. Comunque non poteva far altro che aspettare, senza muoversi.

Non sapeva dire quanto tempo era passato, era frastornato dalla confusione di auto e di persone. Certo, l’aveva fatta proprio grossa e nel giorno in cui l’avevano portato con loro! Tonto sonnecchiò anche un poco, e quando ridestandosi si sforzò di guardarsi attorno si rese conto che era calata la sera.
Quanto tempo era stato accovacciato senza muoversi? Certo qualche ora, si sentiva anche indolenzito e la sua sete era aumentata. Una coppia lo aveva guardato al lungo, parlandogli con bontà, poi era ripartita. Tonto era riconoscente per queste manifestazioni di simpatia, ma desiderava tanto la sua casa ed i suoi padroni.

Passarono altre ore e venne il buio. Tonto provò ad alzarsi, ci riuscì con una certa fatica tanto che sentì le zampe tremargli. Si chiese cosa avrebbe dovuto fare. Forse il padrone non pensava che sarebbe rimasto fermo ad aspettare e allora lo stava cercando lì attorno. Se così fosse stato, Tonto avrebbe dovuto muoversi a sua volta. Ecco, forse era quello che avrebbe dovuto fare da subito.

Si mosse, e in quel momento si accorse di non avere il collare. Se ne erano certo dimenticati nella confusione della partenza. Tonto non sapeva se avere il collare fosse importante o no, ma così si sentiva come indifeso, non era mai uscito di casa senza, proprio mai.
Si avviò verso la campagna. Non vedeva quasi nulla e avrebbe voluto bere. Andò avanti come poteva, incespicando, trovando difficoltà a superare anche le siepi più basse per via di una grande debolezza che gli appesantiva le zampe. C’era molto silenzio intorno, e la quiete della notte era interrotta solo da qualche latrato che proveniva dai casolari sparsi per la campagna, era solo, nella campagna buia, lontano da tutte quelle semplici certezze che segnavano le sue giornate e gli bastavano per essere felice.

Camminò a lungo, sino a quando capì che più che camminare stava trascinandosi. Allora cercò riparo a ridosso di un muro e si sdraiò, spossato, gli occhi sempre più velati. La stanchezza lo vinse e si addormentò. Un sonno scosso da mille sussulti, interrotto da sogni incoerenti. Quando si risvegliò il sole era già alto nel cielo. Tonto, più che vedere, lo intuì dal calore che la terra emanava intorno a lui. Invero i suoi occhi gli dicevano che era ancora buio perché ormai Tonto non vedeva quasi più.
Cercava comunque di alzarsi, ma le zampe non risposero e ricadde. Sentiva su di se il sole sempre più caldo, e avvertiva una sete atroce. Il muso, che aveva cercato di mantenere eretto, era ora più reclinato. Ed anche le voci non si udivano più.
Tonto, nella sua infinita spossatezza e miseria, sentiva che prima o poi il suo padrone sarebbe tornato, e questo gli bastava per continuare a vivere.

Passarono alcune ore. E fu all’improvviso che Tonto risentì delle voci, e poi il tonfo di una portiera. Sussultò, il cuore colmo di gioia. Riuscì a sollevare il muso di qualche centimetro, a socchiudere gli occhi. Vide ombre indistinte, captò suoni confusi.
Non aveva importanza vedere o sentire, a Tonto bastava sapere che il suo padrone l’aveva ritrovato.
Ciò che Tonto non vide era che gli uomini intorno a lui gli si avvicinavano lentamente tenendo lunghi lacci. Ciò che Tonto non udì erano i lamenti di altri cani rinchiusi in un furgone grigio da dove gli uomini erano scesi.
Tonto non vide ne udì tutto questo. Avvertì soltanto che qualcuno lo stava sollevando. E così morì felice, perché il suo padrone era tornato per portarlo a casa.
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