00 08/01/2008 16:12
poesia di D.H.Lawrence

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Mi perdonate se mi prendo la libertà di postare anch'io una poesia?
Quelle che ho letto qui sono bellissime, siano dolci, tristi o umoristiche. Questa l'ho trovata x caso sfogliando una vecchia antologia, e mi é piaciuta. Io non tengo serpenti in casa, ma mi piacciono tanto anche loro.
Questa poesia é dedicata appunto a loro; l'autore, inglese, é David Herbert Lawrence (1885 -1930). E' un omaggio ai serpenti.
...Purtroppo é un po' lunga, ma spero che non vi annoierà troppo...

Il serpente

Un serpente venne alla mia vasca di pietra.
Un giorno di canicola, e io in pigiama nell'afa,
Per bere.

Dove l'ombra stranamente profumata del grande carrubo scuro era più fonda
Scesi i gradini con la mia brocca
E dovetti aspettare, dovetti sostare e aspettare, perché egli era lì alla vasca prima di me.
Si spenzolò giù da una crepa del muro di terra nell'ombra
E scivolò giù portando la giallo-bruna mollezza dal soffice ventre sopra l'orlo della vasca di pietra,
E posò la gola sul fondo di pietra,
E dove l'acqua era gocciolata dal rubinetto, in una piccola pozza chiara,
Prese a sorseggiare con la piccola bocca dritta,
Pian piano a bere traverso le gengive dritte colando l'acqua entro il lento corpo molle,
Silenziosamente.

Qualcuno era giunto prima di me alla mia vasca.
E io, da secondo arrivato, attendevo.
Egli levò il capo dal beveraggio, come fanno gli armenti,
E mi guardò vago, come fanno gli armenti che s'abbeverano,
E fece vibrare di tra le labbra la lingua bifida, e rifletté un momento,
E si chinò e bevve un altro poco,
Bruno come la zolla, dorato come la zolla, uscito dalla viscere infocate della terra
Nel giorno del luglio siciliano, con l'Etna che fumava.

La voce della mia civiltà mi disse
Che doveva essere ucciso,
Perché in Sicilia i serpenti tutti neri sono innocui, i dorati velenosi.
E voci dicevano in me: Se tu fossi un uomo
Prenderesti un bastone e gli spezzeresti la schiena, ora, e lo spacceresti.
Ma devo confessare quanto mi piacesse,
Quant'ero felice ch'egli fosse venuto come un ospite in tutta pace a bere nella mia vasca
E ritornarsene tranquillo, appagato e ingrato,
Entro le viscere infocate di quella terra?

Fu codardìa che io che io non osassi ucciderlo?
Fu perversione che io desiderassi di parlargli?
Fu umiltà sentirmi così onorato?
Mi sentivo così onorato.

E quelle voci, ancora:
Se non avessi paura, l'uccideresti!

E in verità avevo paura, tanta paura,
Ma onorato ancor più, tuttavia,
Ch'egli avesse cercato la mia ospitalità
Dalla porta oscura della terra segreta.

Bevve a sua posta,
E levò il capo, trasognato, come colui che ha bevuto,
E fece vibrare la lungua come una bifida notte nell'aria, così nera,
E parve si leccasse le labbra,
E si guardò intorno come un dio, senza vedere, nell'aria,
E lentamente volse il capo,
E lentamente, molto lentamente, come tre volte trasognato,
Si mise a strisciare in tutta la sua lenta lunghezza ad arco di cerchio
E a risalire la parete screpolata del mio muro.

E mentre infilava il capo in quell'orrido foro,
E mentre lentamente saliva, insinuava le spalle serpigne e penetrava più addentro
Una sorte di orrore, una sorte di protesta contro quel suo ritrarsi entro l'orrido foro nero,
Quel suo deliberato ritorno nella tenebra, e quel lento trainarsi dietro tutto il suo corpo,
Mi sopraffece, ora che mi voltava il dorso.

Mi guardai intorno, posai la mia brocca,
Raccolsi un grosso ceppo informe
E lo scagliai contro la vasca, fragoroso.

Credo che non lo colpisse.
Ma subitamente quella parte di lui che ancora rimaneva fuori fu presa da un convulso d'indecorosa precipitazione,
Guizzò come un baleno, e sparì
Nel foro nero, nella crepa dalle labbra di terra,
E nell'intenso meriggio immoto, io rimasi a fissare il muro, affascinato.

E immediatamente mi pentii,
Pensai quanto miserabile, volgare, meschino il mio gesto!
Disprezzai me stesso e le voci della mia dannata civiltà umana.

Pensai all'albatro,
E desiderai che ritornasse, il mio serpente.

Perché egli mi parve nuovamente simile a un re,
a un re in esilio, senza corona nel mondo sotterraneo,
che ora dovesse cingerla di nuovo.

E così perdetti la mia ora con uno dei signori
Della Vita.
E ho qualcosa da espiare:
una piccinerìa.