00 30/12/2007 00:10
Questa non è una poesia, ma una prosa: l'introduzione a "Storia di una capinera" di Giovanni Verga.
Mi ha sempre commosso fin da quando ero piccola e la sentivo recitare alla nonna: allora piangevo e adesso mi commuovo ancora.

Capinera

Avevo visto una povera capinera chiusa in gabbia: era timida, triste, malaticcia; ci guardava con occhio spaventato; si rifugiava in un angolo della sua gabbia, e allorché udiva il canto allegro degli altri uccelletti che cinguettavano sul verde del prato o nell'azzurro del cielo, li seguiva con uno sguardo che avrebbe potuto dirsi pieno di lagrime. Ma non osava ribellarsi, non osava tentare di rompere il fil di ferro che la teneva carcerata, la povera progioniera. Eppure i suoi custodi le volevano bene, cari bambini che si trastullavano col suo dolore e le pagavano la sua malinconia con miche di pane e con parole gentili. La povera capinera cercava di rassegnarsi, la meschinella; non era cattiva, non voleva rimproverarli neanche con il suo dolore, poiché tentava di beccare tristemente quel miglio e quelle miche di pane; ma non poteva inghiottirle. Dopo due giorni chinò la testa sotto l'ala e l'indomani fu trovata stecchita nella sua prigione.
Era morta, povera capinera! Eppure il suo scodellino era pieno. Era morta perché in quel corpicino c'era qualcosa che non si nutriva soltanto di miglio e che soffriva qualche cosa, oltre la fame e la sete.


Questa storia dovrebbe far meditare tutte quelle persone che cercano il divertimento e la gioia nel maltrattare gli animali. Forse non pensano che anche loro hanno un modo di sentire e di soffrire uguale al nostro ed hanno diritto alla libertà che è stata concessa a tutti gli esseri viventi fin dalla nascita. Infatti alla povera capinera manca una sola cosa: la libertà, ed è così intenso il desiderio del volo nello spazio libero del cielo, che si intristisce e muore.