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Ombre Rosse e Nere - Terza Parte

I Ford, gli Ince (The hart of Indian, 1912), i Cruze (I Pionieri, 1924), sono quei registi del cinema americano considerati i capostipite dello inventare tutto. Il problema è un altro ed è quello di controinformare, di reinventare qualcosa di diverso che il cinema tradizionale e conforme ci ha dato, un qualcosa che vada a chiarire e spiegare quali fossero veramente questi brutti e sporchi Indiani.
Così Cabeza de Vaca li ricorda: "Chiaro di luna in un altro villaggio di fango secco... e gli Indiani venivano a noi correndo da ogni casa con i loro regali, ci toccavano... una ragnatela vivente di corridoi che scintillava sotto la luna, animando per ore ed ore un luccicante andirivieni di corpi nudi...".
Quanta differenza, quanto amore e quanta falsità, tra i personaggi di Cabeza de Vaca (unico superstite di una spedizione spagnola) e i personaggi dei films di John Ford (capostipite del nuovo mondo americano e della sua sottocultura).
Henry Miller così ci parla di Cabeza de Vaca nell'introduzione del saggio di Haniel Long Naufrago del nuovo mondo: "Non parlavano di proprietà, di sicurezza, di onore, di libertà. Parlavano di Dio e della sua onnipresenza, persino nel cuore del miscredente".
Ma Cabeza de Vaca non è altro che un ramoscello in fiore di un albero ormai essiccato in terra arida e sconosciuta.
Lui con tutto il suo amore non può certo far dimenticare tutte le crudeltà e le imprese dei vari Cortes, dei Pizarro e di tutti i conquistadores usciti dalle galere spagnole e di tutti quei nobili assetati di oro e di sangue.
Comunque, per nostra fortuna sono nati dei films che in parte hanno cancellato dalle nostre menti una serie di incertezze, che in films silenziosi hanno reso gli Indiani ai nostri occhi diversi ed estranei. Films antropologici che narrano nei più sconosciuti particolari, con limpidezza, la vita delle tribù indiane; cone Un uomo chiamato cavallo del 1972, di Elliot Silverstein ed altri films di satira ed ironia che ripercorrevano la storia e le battaglie del Popolo degli Uomini con dolcezza e amore. Quel film di Artur Penn del 1970, Il piccolo grande uomo, che si contrappone con chiara evidenza a Il grande sentiero del 1964, di Ford. E poi ancora Soldato Blu di Ralph Nelson, che narra con ferocia ciò che fu e quello che realmente avvenne, non solo nell'animo del comune americano (lui protagonista del film), ma quel che accadde ad uno sparuto gruppo di Cheyennes nel Novembre del 1864 presso Sand Creek e di ciò che furono capaci i bianchi.
Ma quanti registi e scrittori hanno fatto questo, non tanti quanto le cose e i trattati che gli Indiani rivendicano tutt'ora. Essi combattono per la loro idea, per la loro vita, per la dignità del loro popolo troppe volte a lungo martoriato dalla lenta integrazione a cui sono stati soggetti dai bianchi onnipotenti.
I Geronimo, i Nuvola Rossa, i Toro Seduto, i Cavallo Pazzo, non sono affatto morti nella mente e nella vita quotidiana degli Indiani d'America. Nel 1973 a Wounded Knee, essi si sono ribellati all'oppressione bianca: oppressione e conquista giustificata con tutti i mezzi disponibili come abbiamo visto nell'epopea fordiana (pubblicità, film, consumo, comics, ecc.), che miravano al completamento del genocidio che era stato già compiuto, spazzando via tutto, cultura, costumi, modi di vita, usanze. E tutto questo lo fanno, ieri come oggi, per sentirsi forti e per non far vedere che la loro tristezza e solitidine nasce appunto da una forte mancanza di cultura e di amore, e per riconfermare ancora una volta la tradizionale falsità dell'uomo bianco prevaricatore e colonialista.

Da:
"L'unico indiano buono è un indiano morto". Appunti e ricerche sul Popolo degli Uomini. - a cura del Collettivo Editoriale "Stampato in Proprio" - Roma