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«Perché così vuole il mercato», denuncia Massimiliano Rocco, responsabile per il Wwf della lotta al traffico degli animali: «Troppe famiglie cercano esemplari di razza ma vogliono spendere poco. E se alla fine il cucciolo non è di razza e i proprietari se ne accorgono tardi, finisce che se ne sbarazzano». Per questo, per stroncare i mercati illeciti, il magistrato di Cassazione Maurizio Santoloci (responsabile dell'ufficio legale Lav) e altri specialisti dedicano corsi di formazione a tutte le forze di polizia, aiutandole a intervenire con velocità e competenza. «Anche se è una guerra impari», fa notare Mei Tomasi. Uno sforzo che s'incunea tra i due estremi italiani: «Da un lato i 500 milioni spesi nel 2008 per la toelettatura, le pensioni e l'addestramento degli animali d?affezione. Dall'altro il cinismo sfrenato di certi allevatori».

Recentissima, per citare un caso clamoroso, è la condanna a sei mesi di un allevatore di Godega di Sant'Urbano (Treviso), al quale i Nas hanno trovato 7 mila conigli abbandonati senza cibo, in parte morti ma lasciati in gabbia con quelli vivi. Altrettanto orribile è il fenomeno delle cosiddette "mucche a terra", che al macello Calzi di Bertodico (Lodi) è costato il patteggiamento a quattro mesi del titolare. Sotto accusa, in particolare, è il trattamento riservato alle vacche "da riforma": bestie massacrate dai cicli intensivi di produzione, non più in grado di alzarsi o camminare. «Per spostarle», documenta un'inchiesta svolta per otto mesi in Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna dell'organizzazione internazionale Animal's Angels, «le colpiscono con pungoli elettrici, le trascinano con corde e catene, le alzano con verricelli e le caricano a forza sui camion».

Il tutto in barba al regolamento europeo, secondo cui «gli animali che presentino lesioni, problemi fisiologici o patologie, non vanno considerati idonei al trasporto». Premesse sconfortanti, oltre che fuorilegge. Ancora di più se confrontate con le riflessioni di Francesca Rescigno, docente di Istituzioni di diritto all'università di Bologna: «Neppure l'antropocentrismo giuridico più estremo», ha riferito a Montecitorio lo scorso ottobre, «può rimanere impassibile rispetto alle elaborazioni scientifico-dottrinali, che dimostrano come gli animali siano esseri senzienti ». Ormai, ha proseguito, è certo che le bestie sono «in grado di provare piacere e dolore, di avere desideri e aspettative». E appunto per questo «meritano di evolvere dalla condizione di cose a quella di soggetti». Resta il fatto, che chi fa business con gli animali applica parametri più spicci.

E la riprova, secondo gli investigatori, arriva da vicende come quella di Zoo Grunwald, società che «da trent'anni fornisce animali al cinema». Tra i registi nel suo curriculum, ci sono mostri sacri tipo Martin Scorsese e Federico Fellini, Michelangelo Antonioni e Bernardo Bertolucci. Eppure gli uomini del Nirda, perquisendo la sede romana, sono rimasti perplessi: «Tutta la struttura», spiega la relazione di servizio, era «in condizioni igienico-sanitarie e strutturali assolutamente inadatte a detenere animali». Le bestie, nel complesso, risultavano «sottoposte a notevole stress psicofisico ». I lupi si trovavano «in grave stato di denutrizione»; i serpenti giacevano in un locale senza «finestre, completamente imbrattato di feci dall'odore acre e nauseabondo »; i bovini venivano nutriti «con verdure marcescenti a contatto con il letame». E persino i pappagalli, erano «detenuti in condizioni pessime».

Il 15 luglio ci sarà la prima udienza del processo. Ma a prescindere dalla Zoo Grunwald, e dai sospetti che la riguardano, resta un disagio di fondo. È la sensazione che «il maltrattamento animale non sia soltanto una questione di regolamenti violati, ma anche un sintomo di imbarbarimento sociale», per usare le parole del giudice Santoloci. Non basta, insomma, la «vigilanza assoluta» assicurata dal sottosegretario Martini. E nemmeno il tavolo sul benessere animale, avviato meritoriamente «con le associazioni ambientaliste piccole e grandi, i veterinari, le Regioni e i dirigenti del ministero». Bisogna visitare una mattina qualunque (quella del 7 maggio scorso) lo zoo di Napoli, per rendersene conto. All'ingresso, infatti, campeggia la scritta «Abbiamo gettato le fondamenta per la rinascita dello zoo».

E anche sulle vecchie gabbie, chiuse per palese inadeguatezza, risaltano cartelli arancioni (in parte arrugginiti) dove si torna ad annunciare il «nuovo zoo», in cui «gli animali verranno esposti in spazi più ampi, che riprodurranno i loro ambienti naturali». Nel frattempo, però, lo spettacolo è quello riassunto da una nonna al nipotino: «Che tristezza...», dice scuotendo la testa. Ed è difficile darle torto. Davanti agli occhi, ha la fossa di cemento con spezzoni di legno dove un orso bruno, spelacchiato, ripete ciclicamente lo stesso percorso: un cerchio che non s'allarga e non si stringe. Identico e ossessivo.

La stessa sorte, d'altronde, toccata alle due tigri poco lontane, costrette in una gabbia ammuffita senza gli arricchimenti naturali previsti dalle norme Cites (Convention on international trade in endangered species of wild fauna and flora). Solo una pozzanghera d'acqua, spetta a questi felini, che la sfiorano camminando avanti e indietro, indietro e avanti. Alla fine, dopo avere visto e filmato anche l'elefante sotto al sole, in uno spazio privo di cespugli e alberi, fisso davanti al cancello del suo ricovero (chiuso, sostengono gli animalisti, per assicurare la visione al pubblico), lo sconforto è totale. E il disagio contagia, parlandone, anche il sottosegretario Martini: «In tempi stretti», promette, «invierò un?ispezione per verificare questa o altre situazioni ». Un intervento che molti, umani e animali, attendono fiduciosi.
Riccardo Bocca

da www.animalieanimali.it/primopiano.asp