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La scimmia che parla (quasi) come un uomo

Il cercopiteco di Campbell (Cercopithecus campbelli campbelli) aggiunge ai consueti vocalizzi un particolare suffisso per moltiplicare la gamma di suoni a sua disposizione. Un escamotage che è anche alla base del linguaggio umano. Scoperta in un cercopiteco africano una delle sintassi primitive più complesse mai rinvenute in un essere "non-umano". Il suo modo di comunicare potrebbe gettare nuova luce sull’origine del nostro linguaggio.

Elisabetta Intini, 14 dicembre 2009

Le nostre strade si sono divise, nel corso dell’evoluzione, circa 30 milioni di anni fa. Da allora tra uomo e cercopiteco di Campbell (Cercopithecus campbelli campbelli), una scimmietta arboricola dell’Africa Occidentale, vige l’incomprensione più totale. Noi rinchiusi nelle rigide leggi della sintassi umana, loro, i primati, in indecifrabili vocalizzi scimmieschi. Ma forse le cose stanno cambiando: un team internazionale di scienziati è infatti recentemente riuscito a "tradurre" alcuni dei versi di questi nostri lontani "cugini". Scoprendo uno dei più complessi esempi di linguaggio non umano mai conosciuti finora.
Scimmia-sentinella. Per due anni un’equipe di ricercatori delle università di Rennes (Francia), St Andrews (Scozia) e Cocody-Abidjan (Costa d’Avorio), ha studiato il comportamento di 6 diversi gruppi di cercopitechi di Campbell del parco nazionale di Taï, Costa d’Avorio. Queste scimmie vivono in gruppetti di una decina di esemplari, capitanati da un maschio alfa che ha il compito di allertare i compagni in caso di pericolo. In particolare gli etologi hanno identificato tre grida di allarme, che suonano più o meno così.
"Boom!" è il verso più ripetuto per avvertire il gruppo dell’imminente caduta di un ramo, o per comunicare alle altre scimmie la necessità di "traslocare" in un’altra area della foresta.
"Krak!" è un grido d’allarme ben preciso: attenzione, leopardo in vista!
"Hok!" usato quasi esclusivamente quando a minacciare le scimmiette, è uno dei più temibili rapaci della zona, l’aquila coronata (Stephanoaetus coronatus).
Un suffisso, mille parole. Ma i discorsi dei cercopitechi non si limitano a queste 3 semplici espressioni. Ulteriori analisi hanno mostrato come questi primati sappiano moltiplicare la loro gamma di vocalizzi diversi semplicemente "attaccando" ai versi più comuni, una piccola sillaba, il suffisso "-oo". Un trucchetto, questo, a cui noi umani ricorriamo tutti i giorni: basta per esempio, attaccare all’aggettivo "comune" il suffisso "-mente" per formare una nuova parola, l’avverbio "comunemente".
Così "krak" con l’aggiunta del suffisso "-oo", si trasforma in un grido d'allarme generico, non necessariamente riferito a un leopardo, mentre "hok-oo" significa "Occhio! C’è qualcosa tra gli alberi" non importa se un uccello o una scimmia di un gruppo rivale.
Sempre più difficile! E non è finita. In una seconda ricerca gli scienziati si sono concentrati su come queste scimmie combinano i suoni per comunicare tra loro. Scoprendo che raramente i cercopitechi emettono versi isolati, anzi. Possono elaborare anche una "frase" di 25 distinti vocalizzi, combinati di volta in volta in modo diverso per fornire informazioni circa la natura del pericolo (un albero che cade, un predatore), il tipo di predatore e come è stato localizzato (l’ho visto, l’ho sentito) e infine, su come evitarlo (magari, fuggendo).
Non ti vedo ma ti sento. La complessità di questa sintassi potrebbe essere spiegata con la necessità di compensare con la varietà di vocalizzi, la gamma ristretta delle inflessioni vocali dei cercopitechi (rispetto ad esempio, alle diverse note che può emettere un uccellino). O ancora, come risposta a un problema di "visibilità". A causa della fitta vegetazione africana infatti, queste scimmie sono spesso costrette a comunicare tra loro senza vedersi: da qui l'utilità di un vocabolario tanto vasto.
Alle radici della parola. Un simile studio era stato condotto su un'altra specie di cercopiteco, quello dal naso bianco (Cercopithecus nictitans), nel marzo 2008 (vai alla news). Se provata anche su altre specie di primati, la nuova scoperta - pubblicata sul sito di Proceedings of the National Academy of Sciences - potrebbe fornire indizi preziosi sull’origine del nostro linguaggio. Si pensa infatti che l’uomo e il cercopiteco di Campbell si siano separati da un comune antenato circa 30 milioni di anni fa. Alcuni primitivi tratti linguistici a quanto pare, sembrerebbero accomunarli ancora oggi.

da focus.it



Spuntarono le prime stelle. Non sapeva che si chiamava Rigel, ma la vide. E sapeva che presto sarebbero spuntate tutte e che ci sarebbero stati tutti i suoi amici lontani. "Anche il pesce è mio amico"disse ad alta voce. "Non ho mai visto e mai sentito parlare di un pesce simile. Ma devo ucciderlo. Sono contento che non dobbiamo cercare di uccidere le stelle". Pensa se ogni giorno un uomo dovesse cercare di uccidere la luna, pensò. La luna scappa. Ma pensa se ogni giorno uno dovesse cercare di uccidere il sole...siamo nati fortunati, pensò. Poi gli dispiacque che il grosso pesce non avesse nulla da mangiare e il dispiacere non indebolì mai la decisione di ucciderlo. A quanta gente farà da cibo, pensò. Ma sono degni di mangiarlo? No, no di certo. Non c'è nessuno degno di mangiarlo, con questo suo nobile contegno e questa sua grande dignità.
Non capisco queste cose, pensò. Ma è una fortuna che non dobbiamo cercare di uccidere il sole o la luna o le stelle.

Basta già vivere sul mare e uccidere i nostri veri fratelli.
E. Hemingway, "Il vecchio e il mare"



Quando brillava il vespero vermiglio,
e il cipresso parea oro, oro fino,
la madre disse al piccoletto figlio:
"Così fatto è lassù tutto un giardino".
Il bimbo dorme e sogna i rami d'oro,
gli alberi d'oro, le foreste d'oro,
mentre il cipresso nella notte nera
scagliasi al vento, piange alla bufera
Giovanni Pascoli



Da bambino volevo guarire i ciliegi
quando, rossi di frutti, li credevo feriti
la salute per me li aveva lasciati
coi fiori di neve che avevan perduti...
e un sogno fu un sogno ma non durò poco
per questo giurai che avrei fatto il dottore
e non per un Dio ma nemmeno per gioco,
perchè i ciliegi tornassero in fiore,
perchè i ciliegi tornassero in fiore
F. de Andrè