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La guerra fa bene agli animali

Ultimo Aggiornamento: 20/08/2007 12:47
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20/08/2007 12:47
 
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La guerra fa bene agli animali

Da www.lastampa.it/lazampa/

Dall'Africa all'Asia sono migrati in massa nelle zone devastate dai conflitti
GIULIA VOLA
Corrono in fila, gazzelle dietro antilopi. Durante i venticinque anni di guerra civile sudanese non si sono mai fermate. Anzi. Sembra quasi che l’eterno conflitto ne abbia preservato l’esistenza. Oggi formano una colonna polverosa, rumorosa e disordinata lunga 80 chilometri e larga quasi 50. In tutto sono oltre un milione e mezzo, un «Eldorado», come lo ha definito Micheal Fay, l’esploratore del National Geographic che insieme agli esperti della Wildlife Conservation Society, ha sorvolato i 360 mila chilometri quadrati del Sudan meridionale con il suo Cessna.

Le migliaia di zoccoli, non solo sono sopravvissuti a più di due decenni di conflitti, ma si sono moltiplicati nell’area a est del Nilo come se nulla li avesse mai disturbati. Gli uomini, impegnati ad ammazzarsi, li hanno lasciati liberi di muoversi come non mai. E loro, al sicuro dai bracconieri, dagli etologi, dagli studiosi e dai turisti con due occhi, due braccia e due gambe, si sono sbizzarriti.

Ritrovarli nelle terre abbandonate dagli uomini è stata una sorpresa che nessuno si aspettava. Gli ultimi dati disponibili sulla fauna in Sudan risalgono agli anni ‘80, agli albori della guerra tra il governo di Khartum e i guerriglieri del People’s Liberation Army, e a pochi anni dalla fine della precedente. «Mai, nemmeno nei miei sogni, ho immaginato di imbattermi in una simile varietà e quantità di animali selvaggi che vivono insieme» esulta Micheal Fay, tutto fuorché inesperto in materia. Le migliaia di elefanti ritrovati in Ciad, gli scimpanzè e i gorilla che hanno popolato il Gabon e i loro colleghi che sono finiti nel Mozambico e nell’Angola devono ringraziare anche lui se la guerra civile non li ha resi tutti orfani.

«Siamo di fronte alla più grande migrazione annuale di mammiferi mai vista sulla Terra», gli fa eco la Wildlife Conservation Society. All’oscuro del mondo globalizzato, infatti, alla carovana di gazzelle e antilopi - specie che gli etologi credevano quasi estinte - si sono aggregati diecimila bufali, tremila struzzi, migliaia di leoni, leopardi e giraffe.

E mentre migliaia di sudanesi abbandonavano le loro case dal Centro e dal Sud, le zone più calde del conflitto, loro, in coda, occupavano strade, piazze e cortili. Non a caso, infatti, nel 2004, a pace firmata, là dove si erano consumati i combattimenti più cruenti e i villaggi erano abitati da fantasmi, mammiferi a quattro zampe si stiracchiavano insieme a coccodrilli e ippopotami. E appena un po’ più a sud, intorno alle paludi d’acqua dolce, si riposavano altri 8 mila elefanti. Al punto che oggi, numeri alla mano, il Sud del Sudan, è popolato come il tanzanico parco nazionale del Serengeti.

La sopravvivenza degli animali alla guerra degli uomini non è un’esclusiva africana. In Asia, la Corea demilitarizzata, quella sottile striscia di terra lunga 248 chilometri e larga 4, che attraversando la penisola al 38° parallelo fa da cuscinetto tra il Nord e il Sud, è diventata il paradiso terrestre per ibis a cresta e avvoltoi neri, rari uccelli cancellati dal resto della penisola. Il 14 dicembre del 1993 gli abitanti delle aree vicine alla zona liberata dai militari lo ricordano come «il giorno degli uccelli che cadevano dal cielo». Gli avvoltoi, disidratati e affamati, nonostante un’apertura alare di oltre due metri cadevano a terra come sassi cercando rifugio in una delle zone più calde al mondo. Così com’è accaduto nel cambogiano sentiero di Ho Chi Minh, quel groviglio di strade, piste e viottoli che durante la guerra i nordvietnamiti utilizzavano per fornire supporto logistico ai Viet Cong del sud attraverso le montagne di Truong Son e il Laos occidentale: oggi è diventato il santuario di tigri ed elefanti.

«L’importanza di questa scoperta e l’evoluzione della situazione politica - insiste Brian D’Silva, consigliere dell’Agenzia Usa per lo sviluppo internazionale in Sudan - richiedono che gli sforzi per la protezione dell’ambiente e della fauna vengano raddoppiati». Per questo, la Wildlife Conservation Society sta pensando a un piano di gestione delle risorse naturalistiche congiunto, tra Sudan e Sahel. Creare un parco significherebbe dare lavoro agli ex combattenti dell’armata per la liberazione del Sudan. E significherebbe aiutare la pletora in marcia a non inciampare nelle condotte petrolifere in costruzione e a non finire nel mirino dei bracconieri. Il pericolo che ha due occhi, due braccia e due gambe è di nuovo dietro l’angolo.

"La vera bellezza non si percepisce con gli occhi, ma col cuore"


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