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Mari saccheggiati, pesci verso l'estinzione

Ultimo Aggiornamento: 16/02/2010 12:56
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Sesso: Femminile
16/02/2010 12:56
 
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L'allarme dei naturalisti: in 40 anni potrebbe scomparire la metà delle specie. Caccia grossa a tonno rosso e squali
L'urbanizzazione preme sugli oceani. Rischio scomparsa anche per le barriere coralline

MILANO - Acque cristalline e sane, ma vuote, innaturalmente vuote. Dove sono finiti i pesci? Sui pescherecci delle flotte di pesca industriale. E poi nei mercati ittici. A Tokio un chilo di tonno rosso, usato per il sushi, può essere battuto all’asta anche a 500 euro. Stesso destino per gli squali. Nel mar Mediterraneo la loro presenza è calata del 97 per cento. Gli equipaggi li pescano, tagliano loro le pinne (considerate una prelibatezza della cucina giapponese e cinese) e li ributtano a morire dissanguati in mare. E’ il «finning», pratica cruenta che l’Unione Europea ha messo al bando dal 2003, ma tuttora utilizzata, grazie a permessi speciali, da alcune flotte portoghesi e spagnole.

VERSO LA CATASTROFE - «Nei mari è in atto un saccheggio, che porterà alla scomparsa della maggior parte dei pesci entro il 2048». «Gli stock di alcune specie, il tonno in testa, si azzereranno entro incalzati dai ritmi della pesca industriale, praticata legalmente e illegalmente». «Sarà garantito il diritto al cibo per le future generazioni? E quale sarà il danno gastronomico?». Domande e denunce che vengono da sette fra enti e associazioni: il Wwf, Greenpeace, Shark Alliance, Slow Food, Verdeacqua, l’ Istituto per gli Studi sul Mare di Milano, il Gruppo Ricercatori Italiani sugli Squali, con il contributo di Lifegate radio e dello scultore Gianni Depaoli. I loro esperti si stanno confrontando in questi giorni all’Acquario di Milano, in un ciclo di conferenze che si concluderà il 10 marzo e le cui registrazioni saranno poi disponibili online. «Stiamo combattendo una guerra contro il pesce. E la stiamo vincendo» dice uno dei protagonisti del documentario The end of the line girato da Rupert Murray sulla base delle inchieste di Charles Clover, giornalista scientifico del Daily Telegraph e tra i primi a denunciare i rischi dell’impoverimento dei mari.

OCEANI ASSEDIATI - Nel mondo oltre il settanta per cento delle città con più di 8 milioni di abitanti si trova in riva al mare. E nei Paesi in via di sviluppo il 90% della spazzatura viene semplicemente gettato in mare. Lo denunciano i report della scorsa edizione del «Forum globale sugli oceani, le coste e le isole», che si riunirà a Parigi dal 3 al 7 maggio di quest’anno. E’ a rischio di scomparsa il 60 per cento delle barriere coralline, che da sole in quanto a potenziale turistico valgono 10 miliardi di dollari l’anno. Stessa sorte per le foreste di mangrovie. Ne resistono 15,2 milioni di ettari, ma sono diminuite del 20 per cento in pochi anni. Numeri che fanno a pugni con quelli che riguardano le aree marine protette. Nel mondo ne esistono 4 mila 435 e coprono una superficie di 2 milioni 350 mila chilometri quadrati. In pratica, lo 0,65 per cento della superficie degli oceani. Nel 2010, avrebbero dovuto già coprirne il 10 per cento: questo era infatti uno degli obiettivi fissati dal forum nel 2005 e sottoscritto dalle nazioni partecipanti.

UNA TIGRE IN SCATOLA – Chi comprerebbe una scatoletta di carne di tigre o di orso? Eppure il tonno è un predatore, proprio come loro. «Il tonno rosso, la specie mediterranea, viene pescato e esportato per in Giappone: solo il 10 per cento resta in Europa. Quello che mangiamo in Italia, invece, è la varietà “a pinna gialla”, che vive nelle acque tropicali – spiega Marco Costantini, responsabile del programma mare del Wwf Italia, che ha lanciato una campagna per la difesa di questa specie. «E’ un illogico e insano moto perpetuo, dovuto al business globale dei ristoranti che propongono sushi e sashimi, per altro non sempre gestiti da giapponesi. La domanda eccessivamente elevata del mercato nipponico ha determinato un prelievo così forte del tonno rosso che ora questa specie è prossima al collasso. Può salvarla solo un intervento dei governi che ne impedisca il commercio internazionale per almeno alcuni anni» conclude Costantini.

«ELOGIO» DELLO SQUALO – Gli squali sono l’incubo dei bagnanti. Se scomparissero sarebbero in pochi a sentirne la mancanza. Ma farebbero male. «Gli squali non sono una specie di cibo sostenibile, perché sono al vertice della catena alimentare e come tali regolano l’ecosistema mangiando le specie di pesci più deboli, le carcasse e gli animali malati, contribuendo così a prevenire le epidemie» dice Serena Maso di “Shark Alliance”. Sono feroci, ma vulnerabili: gli squali si riproducono molto lentamente, non hanno migliaia di piccoli come gli altri pesci. Le femmine possono arrivare a circa settanta cuccioli nell’arco della loro vita, ma spesso questi animali vengono pescati prima di aver raggiunto la maturità sessuale. «La pesca dello squalo oggi non ha limitazioni e le sue carni sono usate anche per uso farmaceutico, pensiamo allo squalene, uno degli ingredienti del vaccino contro l’influenza A» conclude la Maso. Un impoverimento dei predatori condurrebbe a un grave peggioramento anche della catena alimentare umana, oltre che degli ecosistemi oceanici. Lo spiega Rob Stewart, nel documentario “Sharkwater”.

IL RUOLO DEI CONSUMATORI – Un quadro così nero da poter essere tacciato di catastrofismo e le associazioni ambientaliste ne sono consce. «Ma la nostra intenzione non è solo denunciare, ma suggerire scelte e comportamenti più sostenibili» spiega Roberto Dilernia di Greenpeace. Il disastro si può fermare e in due modi. Il primo è allargare le aree marine protette e affidarle a un management in grado di gestirle adeguatamente. Il secondo è puntare sull’educazione dei consumi: «I rischi derivano da una non conoscenza degli equilibri ecologici. Se si eliminano i predatori restano troppe prede che poi a loro volta esauriscono il cibo. E’ fondamentale passare queste informazioni agli studenti delle scuole superiori, è alla loro età che si comincia a seguire certi stili di consumi»” sintetizza Massimo Brunelli dell’Istituto per gli studi sul mare.

Giovanna Maria Fagnani
10 febbraio 2010
corriere.it



Spuntarono le prime stelle. Non sapeva che si chiamava Rigel, ma la vide. E sapeva che presto sarebbero spuntate tutte e che ci sarebbero stati tutti i suoi amici lontani. "Anche il pesce è mio amico"disse ad alta voce. "Non ho mai visto e mai sentito parlare di un pesce simile. Ma devo ucciderlo. Sono contento che non dobbiamo cercare di uccidere le stelle". Pensa se ogni giorno un uomo dovesse cercare di uccidere la luna, pensò. La luna scappa. Ma pensa se ogni giorno uno dovesse cercare di uccidere il sole...siamo nati fortunati, pensò. Poi gli dispiacque che il grosso pesce non avesse nulla da mangiare e il dispiacere non indebolì mai la decisione di ucciderlo. A quanta gente farà da cibo, pensò. Ma sono degni di mangiarlo? No, no di certo. Non c'è nessuno degno di mangiarlo, con questo suo nobile contegno e questa sua grande dignità.
Non capisco queste cose, pensò. Ma è una fortuna che non dobbiamo cercare di uccidere il sole o la luna o le stelle.

Basta già vivere sul mare e uccidere i nostri veri fratelli.
E. Hemingway, "Il vecchio e il mare"



Quando brillava il vespero vermiglio,
e il cipresso parea oro, oro fino,
la madre disse al piccoletto figlio:
"Così fatto è lassù tutto un giardino".
Il bimbo dorme e sogna i rami d'oro,
gli alberi d'oro, le foreste d'oro,
mentre il cipresso nella notte nera
scagliasi al vento, piange alla bufera
Giovanni Pascoli



Da bambino volevo guarire i ciliegi
quando, rossi di frutti, li credevo feriti
la salute per me li aveva lasciati
coi fiori di neve che avevan perduti...
e un sogno fu un sogno ma non durò poco
per questo giurai che avrei fatto il dottore
e non per un Dio ma nemmeno per gioco,
perchè i ciliegi tornassero in fiore,
perchè i ciliegi tornassero in fiore
F. de Andrè

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