00 17/09/2008 19:53
Cari amici del Salice,
quello che sto per scrivere sarebbe stato scritto meglio da qualcun altro. Io sono un’incapace, soprattutto su alcuni animali che non ho avuto la fortuna di conoscere a fondo e l’argomento di questa mia storia è appunto, un bellissimo cagnolino.
Avrei voluto che fosse qui, ora che vi scrivo, per fargli qualche piccola carezza sulla testa e tenergli un po’ di compagnia. Avrei voluto infilarmi in questa sezione in cui ognuno di voi ha parlato del proprio cane, come se questo cane fosse veramente mio.
Ma purtroppo non è così.
Lui non è mio.
E non può esserlo mai per un motivo molto semplice: ha cercato di mettermi paura.
Sto parlando di un cane aggressivo.

Vive nel mio quartiere, percorrendo alle volte anche diversi isolati. Non lo accompagna mai nessuno ed ha un’ aggressività manifesta, perciò credo che sia un randagio. La prima volta che l’ho incontrato, quest’inverno, non è andata affatto bene, perché non sapevo assolutamente nulla che attaccasse le persone. Non so se ha un padrone, ma se non ce l’ha, probabilmente non ha neanche un nome. Io mi sono divertita a dargliene uno nella mia testa e credo che gli si addica “Rocky”. Quando mi sono accovacciata e l’ho invitato ad avvicinarsi la prima volta, molti mesi fa, dapprima ha poggiato, con una pressione abbastanza forte, il muso sulle mie gambe e poi si è lasciato accarezzare sulla testa. Ecco però che all’improvviso… PAF! Mi ha ringhiato e mi ha tirato un morso. Sono rimasta tanto spaventata, quanto sbigottita, non me l’aspettavo, per cui, dopo pochi istanti, mi sono sollevata e mi son rimessa a camminare adagio. Di tanto in tanto mi voltavo indietro e lui rimaneva dove l’avevo lasciato, ad osservarmi fisso fisso. Da quel giorno ho capito che di cani, pur amandoli, non ci capirò mai niente.

Nei mesi successivi, ripensando a questo episodio mi son più volte detta che avevo sbagliato ad avvicinarlo e avevo sempre in testa il suo terribile morso. Mi sono anche chiesta se, inconsapevolmente, potevo avergli fatto qualcosa di male da indurlo a quella reazione che non mi aspettavo. Qualche mese dopo ero ferma in macchina e l’ho rivisto di sfuggita. Accanto a lui sono passati dei ragazzini e ho sentito la loro conversazione, mentre si dicevano l’un l’altro di non toccarlo perché morde. Da quei discorsi ho capito che lui è fatto così ed io mi ero soltanto beccata uno dei suoi tanti morsi. Pochi giorni fa girovagava nei pressi di casa. Se fossi stata una persona normale mi sarei accorta di odiarlo, ma invece mi fa tenerezza e ho paura che possa essergli successo qualcosa di molto brutto in passato, che gli abbia fatto metter fuori questa sua aggressività. Poi, però si affaccia anche un’altra ipotesi: guardando la sua taglia medio-piccola, questo suo pelo lucido, tutto nero e abbastanza lungo, col muso abbastanza appuntito e la coda sinuosa, con lunghe frange di pelo… forse mi sbaglio, ma mi è venuto in mente un volpino e so che questo tipo di cane manifesta un forte attaccamento al territorio che sfocia spesso in atteggiamenti irascibili. Ieri l’ho trovato a un incrocio, sempre nei dintorni, che abbaiava contro le automobili di passaggio. Insomma, mi sa che è proprio “nervosetto”.

Non lo so perché ho raccontato questa storia. Forse perché ho imparato un insegnamento biblico, il più difficile: quello di amare un nemico. Nessuna persona era mai riuscita a farmelo entrare in testa con mille sermoni, ma ci è riuscito un cane randagio, tirandomi un morso. Per questo oggi sono qui, a chiedervi perdono di questo mio pensare un po’ contorto, e a ripensare al nostro primo incontro-scontro ( vinto da lui dopo avermi messa ko con un morso!). E mentre penso, mi chiedo: “Oggi che sai che si avventa contro le automobili, cos’altro potevi aspettarti quel giorno?“ Sembrerà strano, ma più ci penso, più mi accorgo che la sua reazione sarebbe dovuta essere ben peggiore di quel che è stata. Mi viene in mente il timore di quei ragazzini nell’andargli vicino e mi sento fortunata perché quel giorno, tutto sommato, sono riuscita io a farmi avvicinare da lui. E così, piano piano, nel tentativo di vedere il bicchiere mezzo pieno e di non farmi travolgere dal rancore, sto imparando a dimenticare quel morso e a ricordare un po’ più volentieri il suo musetto poggiato sulla mia gonna, in quei pochi istanti che si è lasciato accarezzare.